Giochi scientifici per bambini – La storia

Giochi scientifici per bambini – La storia

I giochi scientifici ripropongono le scoperte dei secoli XIX e XX, secoli nei quali si sono trovati i mezzi per dominare alcune fonti energetiche:

  • dominio degli spazi grazie alla torsione dell’elastico di Pénaud, prima fonte d’energia che permise agli aerei-modello di volare. Dandrieux ne fece l’applicazione con piccole farfalle di carta, munite di un’elica, antenate dell’elicottero;
  • dominio del vapore, fonte di energia. È la macchina a vapore nota a tutti i bambini, poiché permetteva di mettere in funzione vere e proprie piccole officine grazie all’impulso trasmesso attraverso una cinghia ai piccoli accessori (seghe, foratrici, fresatrici, ecc.).
    I grandi produttori di macchine-giocattolo a vapore furono: i francesi Radiguet, C. Rossignol, Buffard, Mauraisin, Coudray e C., H. Barre; i tedeschi, Märklin, Bing, Ernst Planck, Carette, Schoenner.

La casa francese, cui spetta il primato per quasi un secolo, fu quella dell’ottico Radiguet. Certe macchine da cucire di grandi dimensioni servivano anche nei laboratori di confezioni: il funzionamento era azionato interamente da cinghie di trasmissione.
Erano macchine di molto superiori a quelle dei modelli tedeschi, per qualità di fabbricazione e precisione. Si trattava di opere d’arte piuttosto
che di giocattoli.

Le macchine a vapore

Le macchine a vapore si presentavano sotto diverse forme, le più semplici sono:

  • le macchine “verticali”: vere caldaie in miniatura utilizzate dai primi in-dustriali del XIX secolo;
  •  le locomobili: caldaie orizzontali montate su quattro ruote, di cui le anteriori, più piccole, erano direzionali e le posteriori, collegate al volano motore della caldaia mediante una catena, erano le ruote motrici e facevano avanzare l’insieme come un autoveicolo;
  • le semifisse: locomobili senza ruote.
    I rulli compressori: servivano alla fabbricazione  delle strade agli inizi del secolo

Un’altra fonte d’energia, più antica, fu la macchina ad “aria calda”. Si tratta di riscaldare un cilindro di metallo ermeticamente chiuso. La dilatazione dell’aria, contenuta nel cilindro, consente la messa in moto del pistone mobile del cilindro e, di conseguenza, la messa in funzione di un movimento a inerzia (volano motore).

Fabbricanti tedeschi Carette e Ernst Planck producevano magnifici macchinari ad aria calda. Tuttavia, l’energia prodotta da questi motori ad aria calda, talvolta molto grandi, non poteva sicuramente fare una forte concorrenza a quella della macchina a vapore.

Le macchine a vapore furono utilizzate per il funzionamento di certi giocattoli, come le automobili a vapore (Bing, Dolls e due auto di fabbricazione francese firmate C. Rossignol), le navi a vapore (Radiguet, Barie, Märklin, Bing, Planck, Schoenner), i treni (Märklin, Bing, Planck, Carette, Schoenner, Radiguet); ne fecero uso anche qualche fabbrica inglese e americana.

I giochi scientifici elettrici

I giochi scientifici utilizzavano l’elettricità, e la scatola-giocattolo più classica comprendeva:

  • una pila di vetro con elettrodo di zinco ricaricabile in un bagno di potassio;
  • un rocchetto di Ruhmkorff adibito alla trasformazione dell’energia;
  • dei tubi “Geissler”, ampolle di vetro lavorato contenenti talvolta liquidi colorati che servono a
    mostrare il passaggio di corrente fra due elettrodi opposti.

La ditta Radiguet produsse un buon numero di macchine “Winshurf”. Si tratta di una macchina munita di due dischi di ebanite forniti di raschietti passati da spazzole; l’insieme in rotazione permette di visualizzare un arco elettrico fra i due poli della macchina.
Sempre di fabbricazione francese ricordiamo le scatole:

  • il telefono;
  • il telegrafo;
  • il campanello elettrico.

Da segnalare anche la comparsa dei primi piccoli motori elettrici e inoltre la famosa scatola di”Radioscopia” della Märklin (nociva per uso di raggi X) fabbricata in Germania un anno soltanto, poi ritirata dal commercio.

Märklin produsse anche, prima del 1914, una “casa esplosiva” per mostrare il fenomeno del
fulmine con scoppio della casa, in seguito a una scarica elettrica.
Altro campo nel quale il giocattolo funzionò da promotore fu quello dell’immagine e del suo movimento. Chiamato “precinema“, riunisce l’insieme dei sistemi che hanno permesso di mettere
in evidenza la messa in moto dell’immagine. Nel “precinema” è inclusa la lanterna magica.

Il monaco inglese Bacone nel XIII secolo, nella sua celebre opera Specula mathematica et perspectiva, elaborò i primi principi della lanterna magica ispirandosi agli scritti dell’arabo Al Hazen (XI secolo).
Ma è Leonardo da Vinci che, nell’opera La camera obscura, elaborò le prime basi concrete della camera oscura e inventò il condensatore (lente che viene posta tra la fonte luminosa e l’oggetto da illuminare e che concentra al massimo la luce sull’oggetto, senza dispersioni né perdite).

Il padre gesuita tedesco Athanase Kircher, cacciato dal suo Paese e rifugiatosi in Francia e in Italia, fu il creatore della lanterna magica, in quanto fu il primo a esporne tutti i princìpi in Ars magna lucis et umbrae (paragone tra la camera oscura e l’occhio e analisi delle prospettive anamorfiche).

Lanterne di proiezione

Le prime lanterne di proiezione furono delle grandi casse di legno, ricoperte di carta o dipinte, provviste di una lente. Padre Kircher, aiutato da un allievo ( Gaspard Scott ) realizzò numerose rappresentazioni alla corte di Luigi XIV, suscitando in questo modo un grande interesse nei riguardi della lanterna magica.

Gli emuli di Kircher furono decisamente numerosi. Nel 1743 l’abate Nolet descrisse un nuovo
strumento chiamato “microscopio solare“. Sembra però che l’apparecchio fosse stato inventato poco tempo prima da Lieberküm dell’Accademia Reale delle Scienze di Berlino. Il microscopio solare di Lieberküm è una semplice lanterna magica che ha la sua sorgente luminosa nei raggi del sole.

Nel XVIII secolo il fisico Johannes Zahn sostituì la semplice lastra di vetro con un disco dello stesso materiale che si faceva girare su un asse fisso davanti alla sorgente luminosa, permettendo così di dare l’idea del movimento.
Solo alla fine del XVIII secolo la lanterna magica raggiunse un livello tecnico ottimale. Attualmente la lanterna magica si chiama proiettore di diapositive.

L’invenzione della lanterna magica trovò subito seguaci. Il primo e il più conosciuto dei proiezionisti fu Etienne Gaspard Robert, soprannominato Robertson, che per primo sistemò la lanterna non più dietro il pubblico ma dall’altra parte dello schermo.
È lui che mise ugualmente a punto il sistema della dissolvenza incrociata, con l’aiuto di due apparecchi di proiezione e con una sua invenzione, “l’occhio di gatto”.

Robertson ci ha lasciato magnifiche lastre dipinte a mano, dai colori vivaci e piene di vis comica. Per queste scoperte resterà fra gli inventori del cinema, con concessioni nei confronti del soggettivo visuale.

Con tutte queste invenzioni favolose il XIX secolo democratizzò, grazie all’industria, magnifici apparecchi.
Dal 1830 i presentatori di lanterne percorrevano in lungo e in largo le strade delle città e dei villaggi per dare spettacoli al calar della notte. Scomparvero con la commercializzazione delle lanterne magiche.

Il primo fabbricante fu il francese Auguste Lapierre, che nel 1843 a Parigi, in via St. Paxent, produsse la prima lanterna magica in serie. Era una scatola di ferro con una fonte luminosa, un riflettore e un obiettivo munito di una lente che si poteva spostare.

È nel 1870 che il francese Carette, lavorando in Germania, imitò la produzione dell’impresa familiare Lapierre, divenendone il principale concorrente. La casa Lapierre si evolse ed Edouard, figlio di Auguste Lapierre, creò lanterne con belle decorazioni: piedini minuziosamente lavorati (a forma di testa e zampe di leone) o semplici tubi, magnifici colori dorati, rossi, gialli, blu, verdi (vernice Martin ad alcol), che sostituivano il triste color bronzo. Le scelte dei colori erano eseguite da un artista parigino, Bocquereau.

La casa Lapierre cambiò sede e continuò a ingrandirsi col passare del tempo: 1883, al 38 di quai de Pastourelles a Parigi; 1895, al 38 di quai de Jemmapes, sempre a Parigi; 1900, costruzione dello
stabilimento di Lagny, destinato ai due figli di Edouard, René e Maurice Lapierre, fin tanto che vendettero l’impresa familiare nel 1920 alla S.O.M. (Società meccanica ottica) per una cifra astronomica.

Tre mesi dopo il brevetto dei fratelli Lumière sul cinematografo, Edouard Lapierre mise in pratica il principio del fenachistoscopio nei suoi apparecchi. L’apparecchio di Lapierre ebbe grande successo.

Nel 1902 compaiono le prime lastre con decalcomanie e non più dipinte e inizia la fabbricazione di piccoli apparecchi di proiezione per i film Pathé Baby.
Quando Gaumont produsse il cinema parlato, il “Luciphone” (lanterna venduta con un fonografo a cilindro) è lanciato da Lapierre.
Quest’ultimo ebbe numerosi concorrenti ma non fu mai soppiantato.
Si citeranno le lanterne di Boulanger, cui Lapierre intentò causa per contraffazione, come quelle di Aubert.

Aubert fu il più grande fabbricante francese dopo Lapierre e, più tardi, la sua fabbrica fu acquistata da quest’ultimo. Aubert è conosciuto soprattutto per la fabbricazione di lanterne, la cui forma è ispirata a un determinato soggetto: a Budda, per esempio, o a una vettura, alla Tour Eiffel, a una fabbrica o a una moschea e via di seguito.

Dopo il 1875 altri fabbricanti s’affacciarono sul mercato; si trattava essenzialmente di ottici che fabbricavano materiale sofisticato di precisione, utilizzato soprattutto nelle scuole e nei laboratori. Ci si riferisce alle case: Duboscq, Molteni, Clément et Gilmer, Mazo, Gaumont e Deyrolle.
Contemporaneamente, la concorrenza si fa sentire: in Germania con E. Planck (E.P.), Carette, Bing, Schoenner; Bescler negli U.S.A.; Newton’s and Adam in Inghilterra.

Ma lasciamo ora la lanterna magica, perché il precinema significa anche una successione di oggetti scientifici, fissi o mobili, che hanno tutti lo scopo di ottenere una rappresentazione pittorica con o senza motivo. La fotografia e molto più tardi il cinema saranno conformi alla finalità di questo processo.

  •  La litofania: lastra di biscuit opaco che fa apparire un’immagine quando è posta controluce (inizio del XIX secolo)
  • Le anamorfosi: immagini sviluppate su un piano orizzontale a 360°, intorno a uno specchio cilindrico perpendicolare sul quale l’immagine raccolta è visibile (XVII secolo). Le anamorfosi della stamperia Walter a Parigi, del XIX secolo, fanno parte degli scherzi divertenti di fisica.
  • La “magia delle ombre”: già citata nel precedente capitolo (figurine da ritagliare), con la moda della “silhouette” nel XIX secolo, e il teatro delle ombre o teatro di Séraphin. Ma anche il gioco delle ombre prodotte con le mani, o le immagini sediziose ottenute mediante oggetti di legno o d’avorio tornito, tipo “pomo di bastone da passeggio”, che con la loro ombra disegnaritratto di Luigi XVI o di Maria Antonietta.
  •  Il “thaumatrope”: gioco fra i più antichi (1825), che si basa sulla persistenza retinica. Fu inventato da John Ayrton a Parigi. Si tratta di dischi rotondi stampati sulle due facce, che si fanno girare intorno a un asse che appare delimitato da due cordicelle fissate da una parte e dall’altra del disco.
  •  Il fenachistoscopio: invenzione del belga Antoine Plateau, nel 1832. È un giocattolo. Si tratta
    di dischi su cui sono stampati dei personaggi in movimento che vengono scomposti. I dischi sono perifericamente provvisti di fenditure luminose. Facendo ruotare il disco inventato da Alphonse Giroux (1833), che viene mantenuto da un manico di fronte a uno specchio, si vede l’immagine in movimento grazie alle fessure e alla persistenza retinica.
  •  Lo “zootrope”: giocattolo inventato dall’inglese Charles May nel 1867. È un cilindro forato da fessure luminose sul bordo esterno. All’interno del cilindro e sulla sua circonferenza, una striscia stampata rappresenta la scomposizione del movimento di un personaggio, o altro. L’apparecchio sta su un supporto centrale, intorno cui gira. Quando l’apparecchio gira si osserva, attraverso le fessure luminose e grazie alla persistenza retinica, l’animazione dei personaggi.
  •  Il “polyorama”: giocattolo ottico inventato nel 1848 da Auguste Louis Régnier. È una scatola di legno, rigida, che più tardi sarà munita di un soffietto, sul quale si trova a un’estremità una lente. All’altra estremità della scatola sono disposte delle tavole litografate, dai vivaci colori. Con un procedimento di doppia impressione, queste tavole permettevano di ottenere, grazie all’orientamento della luce della scatola, l’effetto “giorno-notte” delle lastre. Pierre Henri Lefort (1849), fabbricante di giocattoli, perfezionò questa tecnica e produsse il “polyorama”, detto “panottico”, che permetteva la visione a 180°.
  •  Il praxinoscopio: il più popolare dei giocattoli ottici che utilizzano la persistenza retinica. Fu inventato nel 1877 dal francese Emile Reynaud. Si tratta di un recipiente metallico a forma di gavetta, nel cui centro è sistemata una corona di specchi; l’insieme è sostenuto da un piede di legno tornito sul quale gira il recipiente. Delle strisce di soggetti animati, disegnati dallo stesso Reynaud, sono posti alla periferia del recipiente. Quando questo gira, si osserva sui piccoli specchi la proiezione delle strisce in animazione.

Il praxinoscopio fu in seguito perfezionato e posto in una scatola (di legno o di cartone) con un sistema di presentazione teatrale: divenne il praxinoscopio-teatro. Questo gioco derivava dalle animazioni che Emile Reynaud dava al Museo Grevin a Parigi in questo stesso periodo, e che ebbero vivo successo.

Nel 1882 inventò un praxinoscopio per proiezioni, che permetteva di visualizzare l’immagine su uno schermo. Emile Reynaud persistette nelle sue ricerche anche dopo l’avvento del cinema. Si rovinò in questa lotta impari e sicuramente persa a priori, e morì in miseria.

La comparsa del film cinematografico, come lo conosciamo attualmente, stimolò i produttori di lanterne magiche, quali Lapierre, Bing e Carette, a fabbricare dei proiettori per questi film. Si parla oggi di apparecchi da proiezione.
Altre curiosità, riguardanti il precinema, che citeremo soltanto: il diorama, il caleidoscopio, la
lanterna girevole, il “Dagron”.

La lista dei giochi scientifici è ancora lunga, non ometteremo però di citare le sperimentazioni che si ritrovano, all’inizio del XX secolo, nelle pubblicazioni di “Tom-Tilt”: vengono qui spiegati numerosi giochi di magia che utilizzano princìpi a base scientifica.
I giochi elettromagnetici ebbero il loro momento di gloria agli inizi del secolo con la scatola magica di A. Martin, che fa danzare a suon di valzer dei ballerini su una pista calamitata. Altro esempio: quello della trottola elettromagnetica, probabilmente di Radiguet, che possedeva all’estremità un sistema d’immagini animate, simili a quelle del tipo “thaumatrope”.

Tra le varie utilizzazioni elettromagnetiche trovano posto tra i giochi scientifici anche le lavagne. Corredate da lettere o elementi calamitati, permettevano facilmente al bambino, grazie alla facilità d’uso, di formare bellissime e curiose composizioni cromatiche.
Ricordiamo inoltre le scatole di “domanda e risposta”. Formulata la domanda, se la risposta era esatta, si accendeva una piccola lampadina alimentata da una batteria.

All’inizio del XIX secolo, verso il 1830, i fabbricanti francesi produssero magnifiche scatole magiche con il celebre “Jean de la vigne”, dei prestigiatori di latta o di legno tornito, ecc.
Queste scatole magiche, chiamate “fisica divertente”, venivano vendute nei grandi magazzini ed erano ancora popolarissime negli anni Venti.

Oggi i giochi scientifici sono più che mai presenti con le scatole del “Piccolo chimico”, del
Piccolo fisico”, per non parlare, poi, del mondo dell’informatica così presente e indispensabile
nel nostro vivere quotidiano.

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